domenica 4 maggio 2008

URBAN GREEN: PIU VERDE ENTRO IL 2015



E' un progetto interessante - e ambizioso, come afferma lo stesso Comune - che seguiremo con interesse; per oggi ci limitiamo a pubblicare la semplice notizia. I commenti arriveranno.
L’obiettivo è ambizioso: progettare il territorio milanese in modo da migliorare la qualità degli spazi pubblici. Palazzo Marino intende trasformare Milano in una metropoli più vivibile. Il nuovo Piano del Verde sarà in grado di fornire le condizioni per una rinascita delle aree urbane in grado da fungere da polmone verde e per una nuova immagine della città: entro il 2015 una Milano più sana e vitale. I modelli da seguire sono New York e Francoforte.
"Con il nuovo Piano ci sarà un'invasione di verde" ha detto l'assessore all'Arredo, Decoro urbano e Verde, Maurizio Cadeo durante la presentazione degli indirizzi del nuovo progetto, presso l'Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele. Presenti Flora Vallone, direttore del settore Arredo, Verde e Qualità Urbana e l'architetto Andreas Kipar a cui l'amministrazione ha affidato il Piano.
Il verde di Milano - Con più di 19 milioni di mq di spazi verdi, che corrisponde a quasi 16 mq per ogni cittadino, nel quadro europeo Milano si inserisce in una buona media. In particolare sono 2.531.824 i mq riservati ai parchi e ai giardini. Ciò nonostante nell’immaginario collettivo non risulta proprio una città verde.
Se oggi il verde della città è formato da aree discontinue, non connesse tra loro e non sempre di comoda accessibilità, il motivo si deve cercare soprattutto alla mancanza di pianificazione strategica alla quale il Piano del Verde, inserito nel più ampio disegno del nuovo Piano del Governo del Territorio, vuole porre rimedio. I costi per la realizzazione del piano"si aggirano su decine di milioni, saranno sostenuti, oltre l'amministrazione, dai finanziamenti e dalle collaborazioni con i privati" ha spiegato il direttore Vallone.
Il Piano, inoltre, dovrà essere inserito nelle linee guida all'interno del programma di finanziamento ambientale "Life +". Gli obiettivi del Piano del Verde – La strategia per il nuovo sistema verde a Milano prevede in tutto otto obiettivi. I principali interventi sono la realizzazione di una cintura verde intorno alla città e di otto raggi verdi che collegano la periferia al centro, oltre a incrementare la biodiversità in città, avvicinare il verde ai cittadini, raddoppiare le aree gioco per i bambini, garantire la sicurezza nei parchi e nei giardini, ristabilire un rapporto armonico tra il verde e il blu per una "Milano città d'acque" e un piano per piantare 500mila nuovi alberi ai 180mila, e "anche per abbattere l'inquinamento" ha spiegato Cadeo.
Il verde, infatti, avrà un’importanza prioritaria per trattenere le polveri sottili, assorbire il CO2, produrre ossigeno e raffrescare l’ambiente diventando fondamentale per garantire una città più sana e vitale. Expo verde - Nell’ambito della candidatura di Milano per l’ Expo 2015, il Piano del Verde rappresenta una nuova strategia complessiva della città, diventando contenitore di tutte le attività, progetti, concorsi, iniziative ed eventi legati ai temi ambientali, ecologici e agro-energetici, maggiormente rivolti alla cittadinanza.

QUEI GRATTACELI CHE DIVIDONO MILANO



C’è chi ne fa un questione estetica, chi ne fa una questione ambientale e chi paventa le speculazioni.

Dopo che Milano s’è aggiudicata l’Expo 2015 s’è aperto, accanto e in contrapposizione all’entusiasmo molto bipartisan, anche un fronte di Expo-scettici. E, incredibilmente, a portare benzina sul fuoco ha provveduto persino Silvio Berlusconi, che solo otto giorni fa fu tra i primissimi a telefonare alla sua pupilla Letizia Moratti per congratularsi, non appena l’assemblea del Bureau International des Expositions aveva decretato l’assegnazione al capoluogo lombardo della rassegna prevista fra sette anni.


Berlusconi ha posto un problema estetico: non gli piacciono quei grattacieli che si prevede sorgeranno (i lavori sono già iniziati) sull’area della ex fiera. I progetti, in verità sono precedenti alla decisione di concorrere per l’Expo 2015, anzi non hanno nulla a che fare con quella manifestazione ma i tempi di costruzione coincideranno con quelli previsti per le opere destinate all’Expo. Conosciuto meglio come progetto City Life, rientra nelle attività immobiliari di Antonino Ligresti, e ha illustri padri dell’architettura internazionale.


I tre grattacieli previsti sono firmati da Daniel Libeskind, Arata Isozaki, Zaha Hadid e Pier Paolo Maggiora.Costruzioni ardite, una vela di 170 metri (Libeskind) una torre attorcigliata di 185 (Hadid) e un gigante di 215 (Isozaki). A Berlusconi evidentemente non piace come cambierà la sky line e ieri ha tuonato: "Non hanno nulla a che fare con la tradizione, l’architettura, l’immagine e l’urbanistica milanese". Concludendo: "Credo che rientreranno. L’Expo è una grande occasione di crescita anche urbana, io immagino che possa accadere quello che è accaduto nel 1906 che ci ha lasciato in eredità la vecchia fiera". La questione posta dal cavaliere quindi è essenzialmente estetica.


Senza entrare nel merito di un giudizio sul lavoro dei colleghi, Renzo Piano s’è iscritto al club degli expo-scettici puntando comunque su aspetti più strettamente economici, non senza aver sottolineato, in una intervista che "noi, culla dell’umanesimo, andiamo a importare la visione degli shopping center".


Sul tema Letizia Moratti ieri ha ribadito che "L'Expo 2015 dovrà far diventare Milano sempre più bella e sempre più verde: non verrà riempita di cemento come qualcuno teme". Che ha poi fatto riferimento all’altro progetto, quello sì destinato all’Expo, previsto nella zona nord-ovest della città a ridosso della Fiera di Rho-Pero: "Non ci sarà una torre e nemmeno un grattacielo altissimo ma ci sarà un centro per lo sviluppo sostenibile del mondo". Ribadendo quindi che la memoria dell’evento andrà legata a qualche cosa di immateriale più che a una Tour Eiffel del ventunesimo secolo.


Vittorio Sgarbi, d’altra parte, propone che sia la Villa Reale di Monza ("Reggia tra le più importanti che abbiamo in Italia") a simboleggiare l’Expo, venendo così interamente recuperata dall’abbandono attuale.


E Celentano, il primo degli expo-scettici?Beh, lui da quarant’anni piange sul cemento di via Gluck, non poteva evitare l’intervento pessimistico. Il sindaco Moratti l’ha liquidato: "Preferisco sentire le sue canzoni". La partita Expo comunque è appena cominciata.


Tra sette anni Milano sarà diversa, più internazionale promettono. Non necessariamente dovrà essere esteticamente migliore, basterà che diventi più pulita, più efficiente e più vivibile. L’obiettivo che si pone Letizia Moratti pare proprio sia questo.

LA MORATTI: NON SARA L'EXPO DEL CEMENTO


l’Expo: «Vogliamo che sia l’Esposizione universale della solidarietà. Milano diventerà sempre più bella e sempre più verde, migliorerà la qualità della vita. Non ci sarà il cemento che qualcuno teme, non è nello spirito dell’Expo». Una città futura da inventare anche grazie a intese trasversali: «Cercheremo di mantenere lo spirito che è prevalso fino a qui tra maggioranza e opposizione in consiglio comunale, in Provincia, in Regione e a livello nazionale per costruire una città, una Regione e un’Italia migliore». A Milano dedica un panegirico: «È bella dentro, generosa, accogliente, operosa, ospitale. È un esempio che merita di brillare nel mondo».Verde e solidarietà. Una risposta, anzi due, a Adriano Celentano, leader spirituale di coloro che temono un boom di speculazioni immobiliari, e al cardinale Dionigi Tettamanzi, l’arcivescovo di Milano che dopo aver criticato lo sgombero del campo nomadi alla Bovisasca, ha festeggiato l’assegnazione dell’Expo a Milano e chiesto che grazie all’evento la città torni a essere «città del dialogo».La Moratti parla con toni che accolgono entrambe le richieste e ricorda che il simbolo dell’Expo 2015 non sarà un edificio ma un ente che coordinerà gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, provvedendo alla costruzioni di ospedali, scuole, centri di ricerca: «Non ci sarà una torre e nemmeno un grattacielo altissimo ma ci sarà un centro per lo sviluppo sostenibile del mondo. Sarà un Expo in cui ogni cittadino del mondo deve sentirsi protagonista, in una rete di solidarietà e cooperazione». È andata oltre: «Lavoreremo - ha aggiunto - perché l’Expo possa portare a Milano più lavoro e qualità della vita possibile, ma non dimentichiamoci di chi nel mondo soffre».

RENZO PIANO SU EXPO MILANO




Renzo Piano: «Sull’Expo sto con Celentano. Si rischia l’affarismo»
«Ma su una cosa sono Expo-entusiasta: il tema della mostra, nutrire il pianeta. Una bella intuizione»
Renzo PianoExposcettico o Expoentusiasta?

«Sono Expo diffidente»
Come Celentano, che prevede speculazioni e colate di cemento su Milano?«Io temo la retorica celebrativa e vedo il rischio della corsa all’oro, dell’affarismo ».
Nella zona dell’Expo ci sono aree che hanno avuto una rivalutazione del trecento per cento: l’affare qualcuno l’ha già fatto.«Per questo difendo Celentano: lui è la voce della coscienza. Come Beppe Grillo. In certe occasioni è importante che Milano sappia ritrovare la sua anima critica. Se c’è discussione e dibattito anche i progetti migliorano. Però… ».
Però…«In una cosa mi sento Expo entusiasta »
Quale?

«Il tema. È una bella intuizione: nutrire il pianeta. Una sfida che tocca la fragilità della terra, l’ambiente, la guerra alle povertà. È la questione giusta. Milano può farne una bandiera. Io spero che da qui al 2015 la retorica non si mangi la verità e l’ingordigia i soldi».

Cade la linea. La voce di Renzo Piano si perde da New York. È in strada, intorno ad Harlem. Sta progettando il nuovo campus della Columbia University: una città nella città con facoltà, laboratori di ricerca, teatri, negozi e una scuola d’arte. A San Francisco sta finendo il nuovo Museo di Scienza naturale. Diventerà l’edificio più verde d’America: il tetto è un gigantesco giardino di 300 mila piante, le graminacee abbassano la temperatura e i condizionatori diventano inutili.


Rieccolo al telefonino: «La scommessa dell’Expo dovrebbe essere quella di far emergere le affinità globali positive, quelle che hanno fecondato per anni la nostra cultura umanistica. Dopo l’11 settembre i riflettori si sono accesi soltanto sulle affinità negative. Sostenibilità, bellezza ed equità sociale dovrebbero essere le tre parole chiave ».
Molti si chiedono se l’architetto Renzo Piano parteciperà ai concorsi per l’Expo.

«La mia risposta è no»
Senza ripensamenti?

«Nei concorsi si deve lasciar spazio ai giovani. Avevo 33 anni quando ho vinto il progetto del Beaubourg con Rogers, e a concorrere eravamo in 681. Senza quella decisione coraggiosa e aperta nessuno mi avrebbe preso in considerazione. Ci sono troppo pochi concorsi a Milano e in Italia? «Si è diffusa l’idea che è pericoloso far concorsi. Ma io dico: è pericoloso fare programmi sbagliati. I concorsi servono, fanno emergere nuovi talenti».
Per City Life, l’ex quartiere fieristico milanese, c’è chi rimpiange il suo progetto. Anche Berlusconi adesso parla dei grattacieli sbilenchi di Libeskind. E si dice: troppo cemento.

«Quello era un concorso per operatori, su inviti. In questi casi pesa molto l’aspetto economico. Vince chi offre di più».
E ha vinto una cordata con gli architetti americani.

«Non discuto i progetti dei colleghi. Dico che Milano, la città che inventò la Triennale, non può ridursi a ignorare la sua cultura. Io lavoro al più grande progetto urbano di New York perché in America c’è voglia di umanesimo. E noi, culla dell’umanesimo, andiamo a importare la visione degli shopping center?»
L’Expo di Milano senza Piano, allora?

«Io il progetto per Milano ce l’ho già, sono dentro l’Expo a Sesto San Giovanni, nella vecchia area industriale della Falck. Lì si sta cancellando la periferia industriale facendola rivivere come luogo urbano, con un museo d’arte contemporanea, la città della Scienza, l’equità sociale, i contratti per i giovani e il verde che viene restituito ai cittadini ».
Ci sono state difficoltà finanziarie su questo progetto, è sicuro che possa essere portato a termine?

«Io ci credo. È la Fabbrica delle idee alla quale sono più legato. Dal costruttore Zunino e dal sindaco Oldrini ho avuto fiducia, e a loro do la mia solidarietà. Ma se il progetto venisse snaturato da qualcun altro scapperei a gambe levate».
A Milano lei ha lavorato su un progetto per il recupero di un’altra periferia, Ponte Lambro. Non è finita bene

.«Mi sento un po’ colpevole per un progetto che non è andato avanti come doveva. Ho lavorato con persone illuminate. Ma alla fine di luce ne facevano poca».
Un suggerimento al sindaco Moratti?

«Io porto nel cuore Milano come una città bella, ma oggi Milano deve fermare la sua esplosione, chiudere la ferita delle periferie, costruire solo sul costruito, trasformare il traffico privato in pubblico, ampliare ogni metro quadrato di verde, ritrovare l’acqua, smettere di fare i grandi parcheggi in centro…»
L’Expo come occasione per un risanamento urbano?

«Una città bella è lo specchio di una comunità bella. E La parola “bella” non è disgiunta dalla parola “buona”, mi diceva Senghor, quando lavoravo per lui con l’Unesco».
La bellezza non è un concetto troppo astratto, applicato a una città?

«C’è una bellezza non formale, non edonista, che riguarda la qualità degli spazi e dei luoghi. È una bellezza ha a che fare con la dignità del vivere urbano, che chiude certe ferite sociali».
Ci vuole un simbolo?

«Trovo poco interessante la discussione sui simboli. Credo all’idea di una città che restituisce ai suoi abitanti il gusto di viverla. L’esperienza di Genova ’92 è utile: non si spreca niente. Il porto antico recuperato per le Colombiadi non è solo un simbolo: la gente ci va, lo usa».
L’Expo per Milano più vivibile?

«Ha mai notato con quale entusiasmo cresce il verde a Milano? Ci sono città dove gli alberi ti ringraziano ogni mattina. Milano è una di queste».
Fonte Corriere.it

GUERRILLA GARDENING




"Guerra" al cemento... a colpi di Verde!

Il suo 'nome di battaglia' è Guerrilla Gardening, ma non ha niente a che vedere con la violenza. Anzi: mira a combattere quella di un'edilizia sempre più spregiudicata restituendo alle città (e ai cittadini) la vegetazione che viene loro sottratta da cantieri e calcestruzzo.E per testimoniare l'importanza urbana e sociale di questo movimento di "ecologismo estremo", ci siamo rivolti direttamente ai ragazzi che, a Milano, ne rappresentano l'espressione più fedele...

di Antonio Incorvaia


Affacciatevi alla finestra della vostra camera e rispondete a queste elementari domande:

qual è la prima cosa che vedete la mattina quando vi svegliate e l'ultima la sera prima di andare a dormire?

E che cosa vedete, invece, al di là dei vetri della vostra scuola, del vostro ufficio o del vostro luogo di lavoro nelle restanti ore della giornata?

Con ogni probabilità, a meno che non abbiate la fortuna di abitare in uno dei pochi, pittoreschi paradisi incontaminati ancora rimasti nel nostro Paese, vedrete case, casermoni, stecche, cantieri, grattacieli ed altre simili 'attrattive' tutte ammassate e incastrate l'una con l'altra come i mattoncini del Tetris, all'insegna della famigerata dominante "grigio calcestruzzo" che ormai sta privando ogni città della sua specifica e originaria identità e, soprattutto, del suo legame con il Verde.

Già, perché non basta un giardinetto rinsecchito o un parco - magari isolato in periferia e frequentato da gente poco raccomandabile - per certificare che in un luogo ci sia del "Verde": servono soprattutto una sensibilità ecologica e un impegno ambientale che l'odierna cultura edilizia sta ricoprendo con colate di cemento armato sempre più invasive.
Sensibilità ecologica e impegno ambientale che non mancano ai promotori del "Guerrilla Gardening", un movimento di riappropriazione e restituzione del Verde alle città e ai cittadini nato in Inghilterra che negli ultimi mesi si sta ramificando in modo capillare in tutta Europa, Italia compresa. Inevitabile, quindi, che il primo centro a finirne "preso di mira" fosse Milano, simbolo riconosciuto del 'neocolonialismo architettonico metropolitano', dove sono già attivi diversi gruppi di "Guerrilla Gardening" o "Land Grabbing".
Uno di questi, quello più 'fedele alla linea' del movimento britannico, vede protagonisti, tra gli altri, Stefano Calabrese, Stefano Massimello, Iacopo Nosari e Mussi, che si sono offerti di svelarci l'importanza di questa iniziativa accompagnandoci attraverso una serie di testimonianze e riflessioni decisamente stimolanti e 'rivoluzionarie'...
Innanzitutto: in cosa consiste esattamente il "Guerrilla Gardening"?

Ad un primo impatto, il nome sembrerebbe suggerire scenari violenti o comunque 'ribelli': è così?Assolutamente no, al contrario! Si tratta di un movimento del tutto pacifista che ha come uniche "armi" la pala, il rastrello, il setaccio, qualche secchio e tante, tante piante! Il termine "Guerrilla" si riferisce al fatto che ci si (ri)appropria in modo 'non autorizzato' di uno spazio verde abbandonato o lasciato incustodito e nell'incuria, e lo si trasforma in un microsistema vivo, in un segno ambientale forte e in una sorta di oasi naturale all'interno di una realtà urbana omologata e soffocante. La componente di "lotta" esiste, ma è contro la forsennata speculazione edilizia che è sotto i nostri occhi tutti i giorni, e si attua attraverso la buona volontà e il buon esempio, non certo attraverso l'uso della forza.Per inciso: anche la scelta stessa della (ri)appropriazione "non autorizzata" non è strettamente voluta come atto di 'ribellione', è che passare attraverso tutte le pastoie burocratiche attualmente previste oggi dalle nostre amministrazioni per prendere in gestione un'aiuola o uno spazio verde sono talmente lunghe e laboriose che vale la pena bypassarle direttamente a monte...
Quali sono i requisiti - in termini tecnici e di competenze - che bisogna possedere per diventare "Guerrilla Gardeners"?

E' molto semplice: dal punto di vista tecnico serve soltanto una stanza dove tenere le attrezzature per il giardinaggio e dove, magari, conservare o curare le piante prima di piantarle. Dal punto di vista delle competenze, è ovvio che una formazione anche minima in materia di botanica e agraria è altamente consigliata, ma è sufficiente anche semplicemente il lavoro fianco a fianco con chi ha già esperienza, e l'emulazione fa il resto.Ovviamente, sono soprattutto due i requisiti imprescindibili: la morfologia dello spazio su cui si va a lavorare - aiuola, appezzamento o lembo di giardino/parco che sia -, perché deve essere necessariamente esposto alla luce, e la possibilità di avere irrigazione quotidiana, altrimenti non ha senso piantare alcun genere di flora se non si ha la possibilità poi di mantenerla in vita...
Nel vostro caso, quindi, come procedete abitualmente?

Per prima cosa scegliamo il 'luogo', che può essere uno spazio del nostro quartiere a cui siamo affettivamente legati oppure un angolo particolarmente predisposto ad un risanamento con buon esito. Poi ci assicuriamo che esistano fonti di acqua per l'irrigazione: talvolta capita che, se ci sono negozi, uffici o enti collaborativi nelle immediate vicinanze, siano loro a mettere a disposizione i loro rubinetti ai quali ci si aggancia con una canna, altrimenti spesso sono gli stessi residenti del posto che, a turno, innaffiano personalmente le piante con i classici 'bottiglioni'! Quindi avviene la setacciatura del terreno, separando la terra da sassi e detriti - che vengono comunque riutilizzati, dove possibile, per la pacciamatura - ed aggiungendo, se necessario, altra terra, e infine si piantano fiori, arbusti, cespugli e quant'altro...
L'aspetto della collaborazione di residenti e/o persone del posto è molto interessante e sembra avere risvolti sociali per nulla trascurabili. Come si sviluppa?

Beh, di solito le nostre sessioni di lavoro durano generalmente un giorno intero, nella fattispecie tra primavera ed estate quando c'è più luce e il clima è più favorevole. E' normale, quindi, che chi passa si fermi incuriosito a guardarci, o ci chieda cosa stiamo facendo, o addirittura si unisca a noi - capita spesso con i bambini, per esempio - e ci aiuti con entusiasmo e voglia di rendersi utile! Il problema è che, soprattutto qui a Milano, si sta perdendo completamente il senso del "quartiere" come agglomerato non di edifici ma di persone... Il fatto di creare uno spazio al quale ciascuno può dare il proprio contributo è un'opportunità inestimabile sia per ripristinare i rapporti umani, sia anche per educarsi ed educare al rispetto civico del verde.Non è un caso che tante persone ci regalino spontaneamente le loro piante, o magari dei secchi che non usano più - e che per noi non sono mai abbastanza! -, e non è un caso che poi siano proprio quelle stesse persone ad occuparsi della manutenzione e della tutela dell'aiuola o del giardino quando non possiamo farlo noi...
Esistono anche regole 'compositive' che ispirano i vostri interventi?

Diciamo che non è l'elemento prioritario che seguiamo, perché innanzitutto vanno scelte piante in grado di coesistere, completarsi ed equilibrarsi tra loro, e non soltanto piante floreali "belle da vedere" quando sono fiorite 3 mesi all'anno e completamente secche nei restanti 9... Però sì, l'aspetto estetico e compositivo è comunque importante, magari nel creare giochi di forme e di colore, o nell'accostare tipologie di piante secondo geometrie precise...
In tutto questo, che ruolo gioca la Pubblica Amministrazione?

Inspiegabilmente indifferente! Secondo noi è davvero molto strano che un'Amministrazione non si renda conto di quale risultato si potrebbe ottenere stimolando e valorizzando questo tipo di attività, ma anche ragionando - per assurdo - in termini di marketing, visto che alla fine è quello il loro obiettivo. E' veramente il classico "uovo di Colombo" che garantirebbe il massimo risultato con il minimo sforzo, eppure non esiste alcun sostegno, non esistono stanziamenti, e pensa che addirittura può capitare che le forze di sicurezza vogliano farti sgombrare da un'aiuola perché il contributo che stai dando all'intera città "non te l'ha chiesto nessuno"!Per fortuna, come in molte situazioni analoghe, il passaparola e l'aggregazione dal basso sono molto più funzionali di qualsiasi altra forma di incentivo istituzionale...
Esiste, un po' come nel caso dei Writers, una sorta di 'faida' tra i vari gruppi di "Guerrilla Gardening" che operano su Milano?

Sostanzialmente no, non si tratta di una 'faida'. Per adesso, come gruppi attivi a Milano, siamo solamente in due, e più che altro a distinguerci è lo spirito con cui ci avviciniamo a questa attività: per noi non è un trend, non è un'operazione semplicemente di "make up urbano", non è "mettere dei fiori dove c'è della terra". Per noi è un'operazione sociale e anche culturale, se vogliamo, di riqualificazione del tessuto cittadino a partire dai cittadini stessi, noi come tutti coloro che poi si aggiungono volontariamente a noi.Quindi non sentiamo rivalità, ma sappiamo che abbiamo, molto semplicemente, due approcci del tutto diversi...
Per concludere: avete degli obiettivi precisi?

Non so, magari trasformare questo impegno in un "lavoro" vero e proprio?

Beh, se diventasse un "lavoro" in piena regola ne saremmo ovviamente felici, perché significherebbe poterci dedicare sia alle attività sul posto sia ad un'opera di sensibilizzazione e, perché no?, "reclutamento" nelle scuole o in altri istituti, e significherebbe che avremmo a disposizione un budget per attuare interventi magari più concreti e corposi. Al momento, però, il nostro obiettivo principale è costruire un setaccio più grande di quello che abbiamo, magari a dondolo o a rotazione: ci lavoreremo quest'inverno, e in primavera speriamo che sia finito!
Per dettagli, informazioni, documentazioni e adesioni: landgrab.noblogs.org